Dal 1 gennaio 2015 è entrata in vigore la EU VAT, ovvero l’IVA europea secondo cui, da adesso, si dovrà pagare l’IVA a seconda del luogo dell’acquisto e non più del luogo di vendita.
La nuova IVA al momento (sembra infatti che comunque sarà solo questione di tempo) non tocca i servizi materiali, ma solo i digitali, ad esempio: la musica, le applicazioni, i canoni di abbonamento a servizi Voip e Cloud, gli hosting. In Italia sono molte le aziende leader coinvolte come Apple, Amazon, Google e Skype. Proprio quest’ultimo ha già aggiornato i prezzi dei propri abbonamenti, aumentandoli di vari punti percentuali, passando dall’IVA lussemburghese (15%) a quella italiana (22%).
Ovviamente, i professionisti italiani che forniscono i loro servizi in altri Paesi dell'Unione dovranno applicare l'aliquota del Paese di destinazione.
Dal 2015 quindi, chi opera in settori digitali dovrà gestire le 75 aliquote diverse degli stati membri e soprattutto stabilire la residenza dell’acquirente conservando per dieci anni i dati.
Per il consumatore finale si attua una specie di inversione contabile per cui manca ogni presupposto di detrazione. Insomma, l’EU VAT per l’Italia significa al momento:
- Meno ricavi per gli sviluppatori nostrani e per le startup;
- Più ricavi per i rivenditori e le startup estere;
- Prezzi più alti in taluni casi di musica, applicazioni, cloud, voip dagli e-store più noti;
- Una sicura denuncia di infrazione per l’iva al 4% sugli ebook.
Su twitter si sta portando avanti una campagna che chiede al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici di bloccare l’IVA o se non altro di correggerla. Una possibile correzione richiesta è quella dell’introduzione di una soglia di fatturato sotto la quale non venga applicata la norma.
Per seguire la vicenda su twitter, guarda i post con gli hashtag #EUVAT e #VATMOSS.